Le spese di lite a carico dell’ADER
Avv. Maurangelo Rana e Dott. Tiziano De Cicco
Il contribuente che abbia ottenuto una sentenza di annullamento di una cartella di pagamento (di un fermo amministrativo, di una iscrizione ipotecaria, ecc.) da parte di una Commissione Tributaria, è sicuramente interessato ad incassare le eventuali spese di giudizio poste a carico dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, in caso di sua soccombenza.
L’Agente della riscossione, tuttavia, non sempre provvede in maniera solerte al pagamento di tali spese in favore del contribuente; non di rado, infatti, accade che debba essere il contribuente vittorioso a sollecitare l’accredito delle somme spettanti.
Ci si chiede, dunque, a tal fine, quale sia lo strumento più idoneo offerto dalla norma che consenta al contribuente di intimare all’Agente della riscossione il pagamento delle spese di lite.
Ebbene, qualora eventuali solleciti di pagamento siano stati inevasi, l’unico strumento a disposizione del contribuente è rappresentato dal giudizio di ottemperanza previsto dall’art. 70 del D.lgs. n. 546/1992.
In particolare, il primo comma di tale articolo dispone che la parte interessata possa richiedere l’ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza della commissione tributaria passata in giudicato, mediante ricorso da depositare in doppio originale presso la segreteria della commissione tributaria (provinciale o regionale) che abbia pronunciato la sentenza i cui obblighi siano rimasti inadempiuti.
Sempre il primo comma del predetto art. 70 pone(va) come condizione preventiva della procedura di ottemperanza il “passaggio in giudicato della sentenza”; ciò veniva richiesto sino all’emanazione del D.lgs. del 24 settembre 2015, n. 156, in cui si è, invece, stabilito che le sentenze tributarie sono immediatamente esecutive e, pertanto, ai fini dell’attivazione del giudizio di ottemperanza, non sarà più necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza.
Il secondo comma del suddetto art. 70, inoltre, asserisce che il ricorso per il giudizio di ottemperanza sia proponibile solo una volta decorso il termine entro il quale la legge prescriva l’adempimento, a carico dell’ente impositore o dell’Agente della riscossione, degli obblighi derivanti dalla sentenza. In mancanza di tale termine (e, quindi, se la legge non provveda a tal riguardo), il giudizio di ottemperanza sarà esperibile decorsi trenta giorni dalla messa in mora dell’ente impositore o dell’agente della riscossione, e fino a quando l’obbligo non si sia estinto.
Rebus sic stantibus, si pone la domanda se, per attivare il giudizio di ottemperanza nei confronti dell’Agenzia delle entrate – Riscossione, che non abbia adempiuto al pagamento delle spese di giudizio in favore del contribuente, la legge preveda un termine entro il quale essa debba provvedere.
Ciò deriva dal fatto che l’art. 14 del D.L. n. 669/1996, convertito nella legge n. 30/1997, dispone che le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici non economici e l’Agenzia delle entrate – Riscossione completano le procedure per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva, comportanti l’obbligo di pagamento di somme di denaro, entro centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine, secondo la lettera della disposizione normativa, il creditore/contribuente non può procedere all’esecuzione forzata, né alla notifica dell’atto di precetto.
Sembrerebbe, dunque, che una volta notificata la sentenza all’Agenzia delle entrate – Riscossione, qualora il pagamento delle spese di lite non dovesse essere effettuato in breve tempo, non si potrebbe attivare il giudizio di ottemperanza se, anteriormente, non decorrano i centoventi giorni previsti dal citato art. 14.
Tale, peraltro, sarebbe l’orientamento espresso dal T.A.R. Puglia con la sentenza n. 1385 del 26 ottobre 2018 che, in tema di applicabilità al giudizio di ottemperanza delle regole riguardanti il termine che il creditore vanta verso la Pubblica Amministrazione o gli enti pubblici economici (nel caso affrontato dal tribunale amministrativo pugliese, l’ente pubblico era l’INPS), si è limitato a richiamare una pronuncia del Consiglio di Stato (sent. n. 2557/2015, conforme anche alla sent. n. 1174/2015), oltre che diverse decisioni di altri tribunali amministrativi.
Al riguardo, peraltro, non si può non rilevare che l’orientamento giurisprudenziale amministrativo non sia del tutto pacifico.
Con una pronuncia di poco anteriore (Cons. Stato n. 2785/2014; ma anche T.A.R. Sicilia, sez. Catania, n. 922/2014), infatti, il massimo organo di giustizia amministrativa ha ritenuto che, per un verso, il riferimento all’esecuzione forzata e all’atto di precetto contenuto nell’art. 14 succitato farebbe intendere che la regola si riferisca all’esecuzione prevista dal codice di procedura civile; per un altro verso, si è esclusa l’applicazione analogica dell’art. 14 al giudizio di ottemperanza, sia in ragione dell’eccezionalità di essa rispetto alla norma generale di cui all’art. 2740 c.c., sia per le caratteristiche procedimentali proprie del giudizio di ottemperanza. Tali caratteristiche, infatti, assicurerebbero ugualmente alla Pubblica Amministrazione lo spatium adimplendi necessario “…per la preparazione dei mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei crediti azionati ai fini di evitare la paralisi dell’attività amministrativa derivante dai ripetuti pignoramenti di fondi” (Cons. Stato n. 2785/2014 cit.)contemperando, in tal modo, l’interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello, generale, ad una ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche.
Nonostante il più recente orientamento giurisprudenziale sia favorevole ad una applicazione analogica della disciplina prevista dall’art. 14 del D.L. summenzionato anche al processo tributario, non si può sottacere sul fatto che, coerentemente al rapporto di species a genus che caratterizza il giudizio di ottemperanza rispetto al processo esecutivo civile, si ritiene maggiormente condivisibile la non applicazione dell’art. 14 cit. al giudizio di ottemperanza.
Tuttavia, non essendovi univocità tra gli orientamenti giurisprudenziali, il contribuente che volesse intimare il pagamento delle spese di lite all’Agenzia delle entrate – Riscossione inadempiente, avrebbe due possibilità: la prima, è quella di notificare la sentenza all’Agente della riscossione, attendere il passaggio in giudicato (che decorrerà, secondo il termine breve, dalla notifica) e, successivamente, notificare un ulteriore avviso di messa in mora: una volta decorsi trenta giorni, come previsto dall’art. 70, comma 2, D.lgs. 546/92, incardinare il giudizio di ottemperanza. In altre parole, in tale ipotesi, il contribuente agisce non aderendo all’applicazione analogica dell’art. 14 al giudizio di ottemperanza, esponendosi, tuttavia, ad eventuali eccezioni di inammissibilità di controparte.
La seconda possibilità, invece, consiste nell’applicazione analogica dell’art. 14 cit. al giudizio di ottemperanza: pertanto, il contribuente dovrà notificare la sentenza all’Agente della riscossione, attendere centoventi giorni e, solo successivamente, nel caso di perdurante inadempimento di controparte, incardinare il giudizio di ottemperanza. In tale seconda ipotesi, si rischierebbe di essere meno esposti ad eventuali profili di inammissibilità.
In ogni caso, una volta notificata la sentenza, l’auspicio migliore resta il solerte pagamento delle spese di giudizio in favore del contribuente; nella prassi, infatti, spesso accade che, una volta effettuato l’adempimento della preventiva notifica della sentenza, sia l’Agente della riscossione a contattare il contribuente per procedere in tal senso.